educazione alla pace

Educare alla pace, cosa significa

L’educazione alla pace non può ridursi ad un’ opera di informazione sugli orrori della guerra in opposizione alle gioie della vita pacifica. Così come il dibattito fra gli educatori non si può limitare allo studio di programmi scolastici che consentano di illustrare efficacemente queste considerazioni ai giovani.

Educare alla pace è possibile solo attraverso l’acquisizione reale di strumenti come il senso critico che consenta al bambino e al futuro adulto, di filtrare e scegliere quali pensieri sposare e quali invece contrastare. Non si tratta semplicemente di comprendere cosa sia brutto della guerra e cosa sia bello della pace, questo è sicuramente importante e soprattutto, se ci si riferisce a bambini piccoli, potrebbe essere un punto di partenza per la costruzione di un discorso più ampio.

Ciò che rende le future generazioni in grado di scegliere per la pace, è invece aver sperimentato fin da molto piccoli, il senso del confronto, del rispetto di idee diverse e l’importanza del dialogo. Quando un bambino alla scuola dell’infanzia gioca con una pistola realizzata con delle costruzioni, può dare più o meno fastidio all’adulto, ma in realtà, si tratta di un semplice gioco di ruolo che nulla ha a che vedere con la guerra in senso stretto o con ciò che essa comporta.

Incide invece sul comportamento delle nuove generazioni, imparare a sapersi controllare quando non si è d’accordo con un compagno, rispettando le scelte altrui, evitando di usare la violenza non solo fisica ma anche verbale.

Il pensiero critico non arriva ovviamente nelle menti dei ragazzi all’improvviso ma attraverso l’esperienza quotidiana e l’osservazione dei principali agenti educativi. Inutile dire, che la scuola e ancor più la famiglia rappresentano la “palestra” in cui allenare tali capacità. Ancora una volta, l’esempio è tutto, per chi si trova in fase di crescita.

Come un genitore o un educatore può educare alla pace

Considerando che il maggior nemico del pensiero critico è il rifiuto dello pensiero stesso, è fondamentale abituare i bambini fin da piccoli e perché no, abituarsi, a riflettere, a domandarsi quali siano le reali cause di ciò che accade, imparando a crearsi un’opinione su ciò che ci sta a cuore. Questo esercizio è utile non solo agli adulti ma anche ai bambini, che possono essere guidati nella ricerca di risposte a domande anche molto complesse, ma in grado stimolare per l’appunto il pensiero critico.

Pensare è infatti dialogare oltre che con gli altri, con sé stessi, cioè porsi di fronte alla scelta fra il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto. Chi pensa, ha la possibilità anche di dissociarsi, di allontanarsi: aprendo lo spazio al giudizio.

L’obiettivo pedagogico, è quello di far acquisire ai ragazzi la capacità di riconoscere la violenza e, di conseguenza, costruire un’alternativa ad un sistema che sempre più spesso la legittima, tanto da non avere spesso più nemmeno reazioni di disapprovazione da parte dell’opinione pubblica.

Dunque, lo sviluppo della capacità dell’individuo a resistere, a confrontarsi, a porsi con fiducia verso gli altri, può avvenire solo lavorando sulla sicurezza personale, sulla consapevolezza delle proprie risorse e soprattutto sul rispetto dell’altro.

Hannah Arendt questo ci insegna: “Il male non possiede profondità. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità; il Male è banalità”.